Terremoto Irpinia del 1980. Era il 23 novembre quando un evento sismico scosse il nostro Paese e maggiormente sconvolse la Campania e la Basilicata. Sismologi ed esperti del settore dicono è importante ricordare il terremoto del 1980 in Irpinia perché è stato “un evento “maggiore” per il nostro Paese, per il suo tremendo impatto sulla popolazione, per la crescita della conoscenza nella comunità scientifica e di quella ingegneristica e per molto altro ancora” si legge in una nota dell’Ingv, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.
Terremoto Irpinia, bivio fondamentale per la storia della sismologia
Il presidente dell’Osservatorio Geofisico Valle del Liri, Paolo Sabetta, ci ricorda che gli Anni Ottanta rappresentano per la storia della sismologia un bivio fondamentale. “Il terremoto dell’Irpinia – afferma – fu motivo di consapevolezza di un sistema di Protezione Civile non organizzato che aveva assoluta necessità di essere riprogettato e pronto ad affrontare le grandi emergenze. Quel terremoto ha letteralmente stroncato la vita di migliaia di persone; all’improvviso. Ma non solo. Ha messo a dura prova la psicologia dei pochi soccorritori accorsi sulle macerie. Hanno dovuto fare i conti con la mancanza di attrezzature, metodi e coordinamento. È doveroso il ringraziamento verso i volontari occasionali. Indelebile è il ricordo dell’aiuto che hanno prestato con la sola forza delle braccia, per molti giorni”.
Terremoto Irpinia e il supporto dei radioamatori
“Ad esempio fu fondamentale – aggiunge Paolo Sabetta – l’aiuto dei radioamatori che hanno compensato la mancanza di comunicazioni telefoniche interrotte con le Prefetture, con la Capitale ma soprattutto con tutti i radioamatori d’Italia che hanno organizzato spontaneamente una rete di comunicazioni d’emergenza fondamentale. Sono grazie all’allora Ministro Zamberletti e grazie alla grande sensibilità dell’allora Presidente della Repubblica fu dato lo spunto per dar inizio all’attuale Sistema di Protezione Civile. Da quegli anni in poi, anche l’allora Servizio Sismico Nazionale iniziò un lungo percorso di ammodernamento delle attrezzature. Iniziarono ad entrare in funzione le prime reti sismiche locali e poi regionali, procedendo all’abbandono progressivo delle stazioni sismiche che utilizzavano il pennino e la carta termica, per passare ad utilizzare stazioni sismiche moderne. Oggi è l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), l’Ente pubblico di ricerca per eccellenza che monitora e studia i terremoti.
L’impegno dell’Osservatorio Geofisico Valle del Liri a supporto delle istituzioni per una cultura della prevenzione
“Noi, come Osservatorio Geofisico Valle del Liri (www.osservageoliri.it), ci occupiamo a titolo di volontariato di supportare le istituzioni e condividere i dati con gli enti di ricerca e con chi ne faccia espressa richiesta per uso didattico o scientifico. La nostra mission è diffondere la cultura della prevenzione. Con i nostri dati, contribuiamo volentieri al progetto SLAM (Sismicità Lazio Abruzzo Molise) coordinato dal dott. A. Frepoli dell’INGV. Ma questo, è possibile soltanto grazie alla preziosa collaborazione dei volontari che si occupano della rete e naturalmente, delle amministrazioni comunali che ci ospitano sul territorio. La sede dell’Osservatorio è a San Giovanni Incarico presso il Centro Polivalente Comunale”.
Terremoto dell’Irpinia, il più complesso tra tanti in quegli anni
Tra i tanti terremoti che hanno colpito l’area mediterranea in quegli anni (Montenegro nel 1979, El Asnam nel 1980, Corinto nel 1981), il terremoto del 1980 è stato il più complesso (Crosson et al., 1986), ma anche quello che è stato studiato più in dettaglio e con un approccio multidisciplinare. “Per la prima volta in Italia – si legge nella nota dell’Ingv – si avevano a disposizione dati sismologici, geologici, geodetici, accelerometrici (quest’ultimi fino a quel periodo erano riservati alla comunità ingegneristica impegnata nello sviluppo del nucleare).
Si iniziò a lavorare con nuove tecniche di analisi
Tutti questi dati avevano dato impulso a nuove tecniche di analisi come la modellazione delle forme d’onda per la determinazione del momento tensore (Giardini et al., 1984), la modellazione cinematica e l’inversione della polarizzazione delle onde S (Bernard e Zollo, 1989), la modellazione dinamica della sorgente sismica da dati accelerometrici (Cocco e Pacor, 1993). Per la prima volta venivano riconosciute senza ambiguità rotture in superficie di origine tettonica e in diretta relazione con la sorgente sismica (Westaway e Jackson, 1984; Pantosti e Valensise, 1990). Riconciliare tutte le osservazioni in un modello di consenso per la comunità scientifica ha richiesto più di dieci anni di studi, dalle primissime pubblicazioni (Del Pezzo et al., del 1983) fino a quella di Giardini et al. del 1996 che forse chiude definitivamente lo spazio a nuovi modelli interpretativi dell’evento del 1980.
Terremoto dell’Irpinia e il sismogramma del 23 novembre 1980 (fonte Ingv)
L’Ingv condivide un’immagine del sismogramma di quell’evento (che riportiamo in questo articolo) che ripercorre solo una parte della storia, quella legata alla localizzazione della scossa principale (mainshock) e di quelle successive (aftershocks) registrate anche grazie ad una rete temporanea installata in Irpinia, una delle prime in Italia a seguito di forti terremoti, che consentì di registrare migliaia di repliche.